19 feb 2015

Il mondo che conosciamo, un' isola assediata dal dolore?

Immagine da http://www.atlanteguerre.it/
E' quello che mi domando quando leggo articoli come "Il dolore vale di più a Parigi".
Non mi piace 'misurare' il dolore e non credo che chi è abituato soffra di meno.
Diciamo che nell'Europa dell'immaginario comune (ad esempio l'Unione Europea al 1986 ) è cosa anomala che accadano fatti del genere, mentre in altri luoghi, anche non lontani, purtroppo sono stati e sono triste quotidianità.

Conosco bene il dolore e la violenza che attraversano alcune aree del mondo. Ci stiamo sempre più concentrando su noi, come se barricare porte e finestre portasse sicurezza.

Molti anni fa, mi balzò chiaro agli occhi che in un scontro diretto, i disperati armati di machete sono molto più pericolosi di soldati armati. Perché i soldati, i 'noi', hanno case a cui tornare, figli da difendere, mentre per molti disperati case e famiglie bruciano alle loro spalle.

Un altro passo avanti  nel comprendere alcune cose è stato il racconto di saccheggi commessi nel periodo dopo l'armistizio, da persone che da alcuni venivano indicati come 'partigiani', ma che molto probabilmente erano persone armate in abiti civili: in pratica gruppi di sbandati o peggio, gruppi di veri banditi, che si aggiravano in aree dove il controllo dello stato era sempre stato debole, figuriamoci nell'interregno dopo l'armistizio. Mi sono domandato cosa sarebbe accaduto se questo periodo di sospensione dell'autorità fosse durato più di una anno e mezzo.

La triste strategia dei bombardamenti sui civili per 'piegare' il morale delle truppe nemiche ha dimostrato di essere il propellente per vendetta e violenza.

Ci sono questioni che debbono essere risolte perché si possa parlare di pace. Se un decimo delle risorse che dedichiamo a difesa, armi e guerra venissero dedicate allo sviluppo, i disperati potrebbero trovare una speranza, un'alternativa al fucile.

Il conflitto Israelo-Palestinese, da troppo tempo dimostra a chi è disperato che non c'è speranza, che non si vuole trovare una soluzione a certi problemi. Il punto non è chi ha tirato più bombe e chi ha fatto più morti, ma la necessità di restituire speranza a chi vorrebbe vivere in pace.

Quando mi si dice: ma lo sviluppo porterebbe tante vittime, soprattutto tra i cooperanti indifesi, penso che la guerra farebbe molte più vittime e che molti di noi sarebbero ben disposti a lavorare in situazioni rischiose, se valesse la pena e vi fosse realmente l'intenzione di creare focolai di pace.

Ma soffiano venti di guerra, e di fronte alle armi mi sento impotente, perché anche se imbracciassi un fucile, dall'altra parte della valle ci sarà sempre qualcun altro o altra, con un fucile e con molto meno da perdere.